Plastiche da imballaggio con gusci d’uovo, una ricetta per la cura dell’ambiente

gusci d'uovo

Un gruppo di ricercatori statunitensi ha messo a punto una nuova bioplastica basata sul guscio d’uovo, che oltre ad avere l’enorme vantaggio di essere biodegradabile riesce a mantenere la forza e la flessibilità necessaria per l’imballaggio e per sopportare le difficoltà del trasporto anche su lunghi itinerari.
L’interessante innovazione si deve agli scienziati dell’Università di Tuskegee, in Alabama, i quali hanno saggiamene sfruttato questa proprietà per aumentare la flessibilità e la resistenza della bioplastica attraverso l’aggiunta di piccoli frammenti di guscio d’uovo.
Le Bioplastiche da materia organica, finora conosciute, sono ottenute dalle patate, dall’amido di mais, o da altre fonti vegetali rinnovabili, che hanno sì il vantaggio di essere biodegradabili, ma non hanno la flessibilità e la forza necessaria richiesta dall’industria dell’imballaggio. Accade così che i prodotti a base di petrolio continuano a dominare il mercato incontrastati. Ora però sembra essere arrivata una svolta: “Stiamo rompendo i gusci d’uovo nelle loro componenti più minute e poi li infondiamo in una speciale miscela di bioplastiche che abbiamo sviluppato“, dice Vijaya K. Rangari, ricercatore presso l’università di Tuskegee. “Queste particelle di guscio d’uovo di dimensioni nanometriche aggiungono forza al materiale e lo rendono molto più flessibile rispetto alle altre bioplastiche sul mercato. Riteniamo che questi tratti, insieme alla biodegradabilità, potrebbero rendere questo guscio d’uovo un materiale bioplastico molto più attraente e una forma di confezionamento alternativa“.

Come il team è arrivato all’introduzione dei gusci d’uovo nelle plastiche

Dopo aver sperimentato vari polimeri plastici, il team è arrivato a mettere in pratica un mix composto al 70 per cento da polibutirato adipato tereftalato (PBAT), che è un polimero del petrolio, e il 30 per cento di acido polilattico (PLA), un polimero derivato da fonti rinnovabili, come l’amido di mais. Anche se il PBAT è un polimero di plastica a base di petrolio, ha il vantaggio di iniziare a degradarsi dopo appena tre mesi. Ancora però questa miscela era troppo rigida per i ricercatori, i quali per ovviare al problema, hanno creato delle nanoparticelle fatte di gusci d’uovo – un materiale scelto per la sua porosità, per il peso leggero e per la presenza di carbonato di calcio nella composizione, che gli permette di decadere facilmente.
Questi frammenti di guscio d’uovo sono stati esposti a delle onde ultrasoniche che li hanno rotti in nanoparticelle 350.000 volte più piccole del diametro di un capello umano.
Solo una piccola frazione di queste particelle è stata poi aggiunta al composto di PBAT e PLA, rendendo la bioplastica 700 volte più flessibile di tutti gli altri esistenti, il che la rende ideale per il confezionamento, i sacchetti per la spesa e contenitori per alimenti – tra cui gli stessi cartoni delle uova, ovviamente.

Le nanoparticelle di guscio d’uovo, molto più che semplici confezioni da imballaggio

Il team però non si è limitata all’industria dell’imballaggio, ma ha cercato altre alternativa valevoli alle proprietà insiti nel guscio delle uovo. I ricercatori della Tunskegee Univeryty hanno così presentato l’ampio ventaglio delle loro ricerche in una riunione della American Chemical Society (visibili nel link qui proposto), nelle quali hanno anche esaminato la possibilità di utilizzare queste nanoparticelle di guscio d’uovo in ambito medico.  Per esempio esse possono migliorare la guarigione delle ferite, la rigenerazione ossea e la somministrazione di farmaci, grazie sempre alla presenza del bicarbonato di calcio.

Confezioni di guscio d’uovo una marcia in più per la salute dell’ambiente

uovo plastica inquinamento
La produzione mondiale annua di materie plastiche ammonta a circa 300 milioni di tonnellate. Di questi 300 milioni circa il 99% viene prodotto utilizzando petrolio e di altri combustibili fossili, rendendoli altamente inquinanti, dal momento che occorrono svariate centinaia di anni prima che l’ambiente riesca a smaltirli. Inoltre se bruciata, la plastica emette anidride carbonica nell’atmosfera, contribuendo al cambiamento in peggio del clima globale. Se il metodo venisse approvato e si diffondesse su scala globale, uno dei più grandi problemi dell’inquinamento, la plastica, potrebbe avere davvero i suoi giorni contati.

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Giovanni Conti
Sono Giovanni Conti, un 28 enne appassionato di scienza e tecnologia con una laurea in ingegneria gestionale, nutro da sempre la passione per il giornalismo informativo riguardante tutte le innovazioni scientifiche e tecnologiche, che puntano ad un miglioramento della qualità della vita e più in generale all'ampliamento dello scibile umano.