E’ possibile per un robot morire a causa di una radiazione? Chiediamolo a Fukushima
I robot, dotati di controllo remoto, inviati alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi in Giappone, esplosa nel 2011 sono stati dichiarati dai tecnici ‘morti’ a seguito delle elevate radiazioni che hanno interferito sui circuiti e distrutto il loro cablaggio.
Nel 2011, uno dei più gravi terremoti della storia innescato da uno tsunami ha creato un’onda di 10 metri di altezza, che si è schiantata sulla centrale nucleare di Fukushima, distruggendola e causando quasi 19.000 vittime tra la popolazione.
Fukushima e l’impresa disperata
Il piano di messa in sicurezza delle zona procede davvero a rilento e le ultime notizie dall’area off-limits restano ancora piuttosto preoccupanti.
Si tratta di robot progettati in due anni, in grado di nuotare attraverso i tunnel sottomarini delle piscine di raffreddamento, e rimuovere i centinaia di residui di barre di combustibile fuso, materiale altamente radioattivo. Eppure a quasi 5 anni di distanza le radiazioni nella zona sono talmente elevate che nemmeno i robot riescono a tollerarle e finiscono per spegnersi.
I ricercatori della Tokyo Electric Power Company (TEPCO) – la compagnia giapponese che mantiene il sito – ancora non riesco a capire come pulire l’acqua radioattiva altamente pericolosa e rimuovere le barre di combustibile fuso che rimangono sul sito.
Si stima che fino ad oggi i ricercatori siano riusciti a ripulire solo il 10 per cento dei materiali radioattivi, e che una completa riqualificazione di Fukushima richiederà un lasso di tempo stimato tra i 30 e i 40 anni.
Per di più a dicembre vennero riportate notizie secondo cui la centrale danneggiata di Fukushima continuava a rilasciare piccole quantità di materiali nocivi nell’Oceano Pacifico. Del materiale radioattivo è stato anche ritrovato sulla costa occidentale degli Stati Uniti, a più di mille chilometri di distanza. Finora la Tepco ha rimosso con successo 1.535 elementi di combustibile dalla piscina di raffreddamento nel reattore 4, dove i livelli di radiazione sono così bassi che i tecnici possono eseguire i lavori da vicino.
Un’alternativa tentata dalla Tepco è quella di costruire un muro di ghiaccio per fermare la falda vicina al luogo contaminato, ma a parte il fatto che i lavori sono ancora lontani dall’essere completati, tale espediente serve solo ad arginare il problema.
“E ‘estremamente difficile accedere all’interno della centrale nucleare“, come spiega Naohiro Masudadella Tepco, e ovviamente “l’ostacolo più grande è la radiazione.”
“I reattori continuano a rilasciare radiazioni nelle falde acquifere e quindi nell’Oceano Pacifico“, ha aggiunto Artie Gunderson, un ex ingegnere nucleare che non è coinvolto nel progetto. “Quando Tepco fermerà infine la falda, quella sarà la fine dell’inizio“.
Il problema più alto è costituito dal reattore 3, è lì che i robot inviati sono deceduti, e restano ancora 566 elementi di combustibile che devono essere rimossi.
Solo che non appena i robot si avvicinavano ai reattori, le radiazioni distruggono i loro cablaggi rendendoli inutili, ha spiegato Masuda, aggiungendo che ogni robot deve essere costruito su misura per ogni edificio, e occorrono due anni per svilupparne uno. Altri anni dunque occorreranno prima che i tecnici possano usufruire di un’altra batteria di robot necessari, i quali dovranno essere più resistenti di quelli attuali, sempre che tale tipo di tecnologia esista e possa essere messa in campo nel più breve tempo possibile.
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